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Il caso "Pancalino"

Arte

Pubblicato il 16 giugno 2007

IL CASO "PANCALINO"


Questo scritto ripete, con modesti aggiornamenti, il testo pubblicato in «A vuxe da Cà de Puiö», n. 9, dicembre 1990, Circolo Culturale Cà de Puiö, San Bartolomeo al Mare, pp. 7-11 e successivamente in I cosiddetti "Pancalino". Vita e opere di Raffaello, Giulio e Orazio De Rossi, Circolo Culturale Cà de Puiö, San Bartolomeo al Mare 1991, pp. 9-13.


.....La pittura del Cinquecento in Liguria, in particolare nel territorio a ponente del Finale, è caratterizzata dalla presenza di un interessante personaggio che in quest'area si è tempestivamente affermato dopo la scomparsa di Ludovico e Antonio Brea. Si tratta di una figura di primo piano, anche se non grandissima, alla quale va ascritto il merito di avere aperto nuovi orizzonti all'arte figurativa locale. La sua venuta infatti ha determinato una svolta in senso marcatamente rinascimentale, per le maniere derivanti da una più aggiornata componente fiorentina che egli vi ha introdotto in presa diretta, cioè col fare tipico di chi viene da fuori ed è latore di una cultura diversa. Con tali modi egli è riuscito a vivacizzare il tessuto sostanzialmente appiattito dei gusti locali statici e caratterizzato dalla sopravvivenza di un sostrato tardogotico, legato alla corrente piemontese realistica e popolaresca, che aveva avuto qui nel Canavesio il suo maggiore esponente e che, in certe sacche di cultura attardata delle valli d'Imperia e d'Albenga, ha allignato nelle pitture arcaiche e stereotipate di Pietro e di Giorgio Guido da Ranzo fin oltre la metà del XVI Secolo.

Il Trittico di San Bernardo di Deglio Faraldi.

.....Nei tempi addietro le opere del nostro artista sono sempre state considerate singolarmente, per essere poi attribuite in modo generico a un "ignoto pittore attivo nella Liguria di Ponente nel Cinquecento", oppure ad affermati maestri contemporanei, tra i quali gli stessi Brea. Tale atteggiamento è durato fino al 1952, quando G.V. Castelnovi per primo ha individuato in quelle pitture dei motivi comuni e li ha evidenziati. Successivamente lo stesso studioso ha tentato una ricostruzione della personalità dell'artista e ne ha imbastito un catalogo comprendente una ventina di lavori, in massima parte dipinti su tavola segnalati in un'area che va da Genova a Ventimiglia e risalenti a un arco di tempo allora valutato tra il 1525-30 e il 1578; in quell’occasione egli ha raccolto il tutto intorno al nome "Panicalino", corretto dieci anni più tardi in "Pancalino", ricavato dall'iscrizione che si legge ai piedi del pannello centrale del trittico di san Bernardo, conservato nella chiesa intitolata a quel santo ubicata a Deglio Faraldi, borgata rurale dell'alta Valle Steria.
.....L'iscrizione oggi è ancora leggibile, nonostante che la tavola sia molto danneggiata nella parte terminale, e si presenta così:



.....Il Castelnovi ne ha dato la seguente interpretazione:

CRISTOFARO B. PANCALINO (o PANICALINO) F. 1578

.....Egli però non ha tenuto in debito conto il segno grafico comunemente usato a quel tempo come abbreviazione di quondam, che vi compare due volte ed è ben distinguibile. Quel segno e le altre abbreviazioni avrebbero dovuto suggerirgli di individuare invece nell'iscrizione il riferimento a due persone distinte di nome Cristofaro e Pantalino (diminutivo di Pantaleo) i cui ascendenti maschili, entrambi defunti, portavano nomi che avevano per iniziali le lettere B e F.
.....Lo studioso comunque aveva avvertito di non essere certo che l'iscrizione corrispondesse alla firma dell'autore e che pertanto l'appellativo proposto non doveva essere considerato definitivo; ma non disponendo di altri elementi, per comodità di studio egli lo ha adottato e, poiché in seguito non è emerso nulla di nuovo che aiutasse a svelare l'identità dell'artista, seguendo il suo esempio per decenni si è continuato a farne comunemente uso per indicare l'incognito maestro. Ciò mentre la sua popolarità era in continua ascesa, perché con una certa frequenza venivano segnalate, soprattutto nell'area ponentina, altre opere attribuibili a lui o alla sua cerchia, che gli conferivano maggiore importanza.
.....Se poco o nulla si era riusciti a sapere delle sue vicende personali, diversi apporti critici invece avevano permesso di ricostruire con buona approssimazione il percorso seguito dall'artista. Fra tali contributi si evidenzia quello di F. Boggero, che ha saputo individuare nei dipinti indicati forti diversità formali, difficilmente riconducibili a un'unica personalità, e pertanto ha suggerito di scindere il materiale catalogato limitando l'etichetta "Pancalino" solo alle cose più tarde. La tesi di più esecutori ha trovato concorde il Castelnovi in una riedizione ampliata del suo saggio, nella quale ha operato una distinzione tra l'attività di una artista considerevole e quella di uno o forse due seguaci di più modeste capacità.
.....Il reperimento negli archivi locali di numerosi documenti avvenuto negli anni ottanta infine ha consentito di restituire ai Nostri le generalità autentiche e di ripercorrere le tappe della loro esperienza, potendo contare finalmente su dati certi e non più affidandosi a ipotesi e intuizioni, per quanto autorevoli. Ecco ad esempio come, documenti alla mano, si sono svolti i fatti relativi al trittico di san Bernardo, quello dell'iscrizione che è all'origine del "caso Pancalino".
.....L'11 febbraio 1572 Cristofaro Girimonda fu Bernardo e Pantaleo Girimonda di Filippo, abitanti di Deglio Faraldi, si sono recati a Diano Castello. Qui, nella scrivania del notaio Nicolò Rodino, hanno incontrato il pittore Giulio De Rossi, un artista in auge in quel momento che dimorava e aveva bottega in questa località, e con lui hanno concordato la realizzazione di un'ancona per l'altare della chiesa del loro paese, della quale essi erano i massari. Nell'occasione i due si sono riservati di indicare in seguito quali santi vi dovevano essere effigiati; sono stati stabiliti subito invece il termine per la consegna dell'opera finita, il 20 agosto, giorno della festa del santo titolare della chiesa, san Bernardo, e il prezzo del quadro, duecento lire, che i due faraldesi si sono impegnati a pagare in quattro rate uguali.
.....In realtà poi l'opera è stata eseguita e consegnata ai committenti qualche anno più tardi, secondo un'abitudine non certo encomiabile della bottega dianese. Ce lo rivela la data dell'iscrizione, che sulla scorta di questo prezioso documento ora può essere sciolta completamente nel modo seguente:

....... G[irimond]A...................................................G[irimond]A..............
CRISTOFARO Q[uondam] B[ernardi]
.....PANTALINO Q[uondam] F[ilippi] 1578

.....Essa quindi rappresenta, nel rispetto di una consuetudine consolidata a quel tempo, della citazione per memoria dei posteri di coloro che hanno commissionato il dipinto e non della firma dell'autore. Questo, ora lo sappiamo, si chiamava Giulio De Rossi ed era il figlio di un personaggio di ben più alta levatura, il maestro Raffaello, pittore d'origine e di scuola fiorentina, autore nei primi esiti di opere ragguardevoli e principale esponente della fortunatissima bottega da lui stesso fondata in Diano Castello, attiva ancora nel primo ventennio del Seicento con il nipote Orazio, figlio di Giulio. Si tratta del laboratorio d'arte che per un ampio arco di tempo ha fornito dipinti sacri a un gran numero di chiese della zona, esercitando nel suo campo una netta supremazia, e che per una curiosa fatalità è diventato noto ed è stato ascritto alla storia dell'arte come l'atelier dei "Pancalino", facendo torto ai meriti dei nostri artisti.
.....E proprio per tale motivo ritengo doveroso fare un'ulteriore precisazione: il nome di battesimo del maestro fiorentino capostipite della dinastia dei De Rossi è Raffaello e non Raffaele come altri autori hanno affermato, non disponendo di notizie certe in merito e perché hanno ritenuto la prima denominazione "troppo impegnativa". Sarebbe già stato sufficiente fare riferimento alle consuetudini fiorentine di quel tempo per comprendere quale delle due forme fosse più plausibile. Ma a chiudere definitivamente la questione è intervenuto il ritrovamento di una quietanza redatta il 19 marzo 1539 di proprio pugno dal pittore in lingua volgare, nella quale egli si iscrive "Io maestro raffaello de rossi pittor fiorentino ...".



.....Una annotazione coeva apposta sul retro della polizza e redatta da un'altra mano lo individua come "maestro Raphaello pintore", a conferma che quello era il nome col quale egli era conosciuto.
.....II nostro artista in passato ha già subito troppi torti. Per lungo tempo è stato ingiustamente ignorato, o quasi, dagli studiosi d'arte; poi per un malaugurato infortunio di uno di loro, peraltro assolutamente veniale, ha visto attribuire i suoi meriti a un supposto - ma inesistente - "Pancalino". Ora che finalmente ha avuto la giusta rivalutazione ed è stata restituita alla sua figura una degna collocazione nel panorama pittorico del suo tempo confacente al suo valore, credo che gli si debba almeno l'attenzione di ricordarlo col nome scritto nella forma corretta, quella che lui stesso e i suoi contemporanei ci hanno indicato.

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Giorgio Fedozzi

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Note d'archivio e bibliografiche

ARCHIVIO DI STATO DI IMPERIA, notaio n. 29 Nicolò Rodino ed altri.

G.V. CASTELNOVI, Quattro e il primo Cinquecento, in AA. VV., La pittura a Genova e in Liguria dagli inizi al Cinquecento, Genova, 1970, p.156 e 178, e 2° edizione, Genova 1987, p. 159.

F. BOGGERO, in AA.VV., Il museo diocesano di Albenga, Bordighera 1982, p.40

G. FEDOZZI, Il caso "Pancalino", in «A vuxe da Cà de Puiö», n. 9, dicembre 1990, Circolo Culturale Cà de Puiö, San Bartolomeo al Mare, pp. 7-11.

G. FEDOZZI, I cosiddetti "Pancalino". Vita e opere di Raffaello, Giulio e Orazio De Rossi, Circolo Culturale Cà de Puiö, San Bartolomeo al Mare 1991, pp. 156.

G. DE MORO e A. ROMERO, "Pancalino" e il Rinascimento in Liguria, Communitas Diani, Diano Marina, 1992.


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